La necessità di cogliere l’estensione e la profondità del tempo nel rapporto tra progetto di architettura e luogo.
 
Occhi che non vedonoLa necessità di cogliere l’estensione e la profondità del tempo nel rapporto tra progetto di architettura e luoghiDi Carlo Ezechieli Chi l’avrebbe mai detto che il 23 ottobre 4004 a.C., precisamente amezzogiorno,Dio creò il mondo. Questa convinzione, per quanto strampalata,venne data per scontataper secoli fino almeno alla fine del 1700quanto James Hutton, pioniere della moderna geologia, definì il l’ideafilosofica di Tempo Profondo. In base a questo concettola storia della Terra era il risultatonon di una creazione,madi una lunga e complessa serie di eventichesi erano sviluppati nel corso di decine e decine di milioni di anni. La posizione dell’essere umano nell’universoveniva clamorosamente ridimensionata. Non più creato a immagine e somiglianza di un Dio, ma piuttosto piccolo protagonista dell’ironica quanto brillante frase di Mark Twain: “L'uomo esiste da 32000 anni. Il fatto che siano occorse centinaia di milioni di anni per preparare il mondo per lui è una prova del fatto che esso fu creato per l'uomo”. Oggi il tema al centro del dibattito in architettura è quello del nostro rapporto con il contesto fisico e ambientale. I luoghi, ne sono il campo diretto di applicazione. Abbiamo ormai imparato che ogni luogo ha un’originee un vissuto che trascendeampiamente sia il nostro ego che la nostra esistenza. Ha un trascorso di milioni di anni e continuerà per milioni di anni. La chiave che in futuro potrà cambiare il nostro modo di vedere e fare le coseè riconoscere il primato di un sistema ambientale che si estende nella profondità dello spazio e del tempo rispetto a un’etica ambientalista e moralista, da “salviamo il pianeta”, che vede il mondo come qualcosa di superficiale ed esterno, a nostro uso, consumo e amministrazione. Noi architetti osserviamo l’ambiente, e nello specifico i luoghi, ancora troppo distrattamente. Non vediamo oltre, non vediamo in profondità. Non cogliamo quanto, apparentemente invisibile, né in realtà l’anima. Come gli “Occhi che non vedono” che Le Corbusier riferiva ai contemporanei, anche questa è una forma di cecità. È come se stando su una barca in mezzo al mare se ne osservi solo la superficie, restando del tutto inconsapevoli che sotto di essa esiste un intero universo.

Carlo Ezechieli

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