Il rapporto tra architettura e tecnologia in un mondo dove qualsiasi problema può essere risolto dalla tecnologia, salvo poi scoprire che la soluzione dà origine a nuovi problemi. 
Secondo il filosofo Umberto Galimberti: «la nostra capacità di fare è diventata enormemente superiore alla capacità di prevedere gli effetti del nostro agire. Ci muoviamo alla cieca. I Greci avevano incatenato Prometeo che aveva dato agli uomini il dono della tecnica. Noi lo abbiamo liberato senza avere una cognizione precisa del limite». Ed è così che il concetto che in sanscrito si chiamava Are, ovvero la capacità di conferire un ordine, poi convertito nella Techné greca e nell’Ars latina, termini che stavano a indicare l’impegno e l’ingegno umano nell’imitare, integrare ed eventualmente alterare la natura per adattarla alle nostre esigenze, ha preso il totale sopravvento. Nell’accezione moderna, di impronta illuminista, industriale e fondamentalmente anglosassone, la parola d’ordine è diventata Tecnologia, ovvero la chiave del progresso e del benessere. La nostra società ripone una fiducia assoluta nella tecnologia che, con l’andare del tempo è diventata un’entità formidabile e pressoché autonoma, portatrice di risultati che sfuggono al nostro controllo. Come in molte altre discipline anche noi architetti tendiamo a lavorare secondo automatismi. Diamo per scontate migliaia di cose, cerchiamo soluzioni e le applichiamo, spesso dimenticando che l'aspetto fondamentale di qualsiasi progetto è quello di porsi, prima ancora della risposta, la domanda giusta. La tecnologia è fonte primaria di soluzioni, ad essa ci affidiamo senza troppe remore. Salvo poi scoprire che l’architettura, rispetto a una tendenza imperante ed imperversante, è una delle poche discipline che ancora conserva la capacità di sfidare gli schemi, di proporre idee diverse, forse capaci di riprendere controllo su questo metaforico Prometeo, riportandolo al nostro servizio.

Carlo Ezechieli

CE-A studio + Carlo Ezechieli - 2019 all rights reserved