Come l’attuale strabordante proliferazione
e diffusione di immagini porterà, per reazione, ad una paradossale
rivalutazione di aspetti come identità, luogo e appartenenza.
Oltre al senso ineffabile di bellezza,
armonia e capacità di generare emozioni, la caratteristica che più
oggettivamente distingue un'opera di architettura da un intervento edilizio o
anche da un semplice oggetto è la sua capacità, pur intervenendo localmente, di
generare un effetto migliorativo su un contesto il più ampio possibile. Ciò si
traduce nella trasformazione positiva dei sistemi di relazione con il luogo e
tra le persone, senza trascurare il rapporto con i materiali e le risorse
tecnologiche necessarie per costruire l'opera di architettura che, è importante
sottolineare, non può esistere indipendentemente da un solido sistema di
relazioni con il contesto. Negli ultimi tempi, sembra tuttavia che
considerazioni di natura più profonda vengano messe in secondo piano di fronte
all'irresistibile fascino di un vasto repertorio di immagini, reso ancora più
ampio dall'avvento dell'intelligenza artificiale ma che forse per la propria
intrinseca astrazione, tende sempre più all’omologazione. Un’opera di architettura
non è un’immagine, è la traduzione in forma costruita di un sistema relazionale
complesso che coinvolge inevitabilmente luoghi, che cambia il modo di vivere e
relazionarsi tra le persone che li abitano e che si trova invischiato in mille
costrizioni - e questo gli architetti lo sanno bene - a livello di spesa, di reperibilità
di risorse, di materiali e rapporto di questi ultimi con la storia ed il
contesto. Ed è così che per reazione - in modo simile al periodo successivo
alla Guerra Fredda, dove la globalizzazione imperante fu accompagnata
dall’emergere di localismi - che anche in architettura è prevedibile una
paradossale rivalutazione di aspetti come identità, luogo e appartenenza: in
una parola, di vicinanza.
Carlo Ezechieli
Carlo Ezechieli