La progettazione del ciclo delle acque come tema di architettura ed opportunità


Pur con marcati rallentamenti che, specialmente in Europa, hanno interessato il settore all’edilizia, il processo di “cementificazione” sembra manifestarsi su scala globale come virtualmente inarrestabile.  La progressiva riduzione della permeabilità dei suoli connessa alla sostituzione di superfici prevalentemente verdi con aree pavimentate, non è tuttavia priva di conseguenze ambientali. L’acqua è infatti un incredibile solvente, capace di attivare innumerevoli scambi e processi a livello biofisico che stanno alla base delle capacità di rigenerazione dell’ecosistema: la “sigillatura” dei suoli è una pratica che, in modo particolarmente aggressivo, interviene interrompendoli. Viene meno la funzionalità dei cosiddetti «Ecosystemservices» - ovvero tutti i processi di depurazione dell’aria, dell’acqua, di rigenerazione di risorse messa continuamente e gratuitamente a disposizione dall’ecosistema – che si traduce infine in nocive concentrazioni di inquinanti. Una ricerca condotta nel 2002 dalla Regione Metropolitana di Portland negli Stati Uniti, dimostra che quando nell’ambito di un bacino idrografico le superfici non drenanti arrivano al 10%, gli ecosistemi incominciano a dare segni di degrado. Ad una copertura di oltre il 30% corrisponde un degrado critico, praticamente irrisolvibile. Il decadimento degli Ecosystem Services è anche un motivo di spesa, e pertanto di impoverimento economico, dato che per ottenere gli stessi risultati di depurazione e rispristino delle condizioni ambientali, o anche solo di drenaggio, attraverso impianti e sistemi tecnologici - come depuratori, filtri, accumuli ed infrastrutture tecniche – è costoso sia in fase di realizzazione che di gestione. Il tutto senza contare che le moderne fognature, pur seguendo i vecchi corsi d’acqua, non sono mai in grado di gestire il “runoff” (il deflusso di acqua piovana dal sito) con lo stesso livello di efficienza della natura, e questo si traduce in una fondamentale perdita di resilienza - inesorabilmente all’origine di inondazioni e dissesti – di fronte ai sempre più ricorrenti eventi meteorologici estremi.

Ma cosa succederebbe se le infrastrutture di gestione delle acque reflue urbane, emulando i sistemi naturali, diventassero una risorsa anziché una responsabilità economica e ambientale? Se tutto il denaro investito in infrastrutture idrauliche nascoste nel sottosuolo fosse trasferito in superficie in un sistema differente ma che assolve ai medesimi servizi? E se questo nuovo sistema - come in passato, in moltissimi meravigliosi esempi - diventasse una vera e propria architettura, capace di rigenerare situazioni compromesse ed arricchire luoghi, edifici e città non solo dal punto di vista ambientale ma anche con spazi belli e piacevoli: giardini, piazze, fontane?

Questo numero di IoArch parte col proposito di raccogliere, inquadrare e spiegare, attraverso casi ed esempi, modalità evolute di progettazione urbana e del paesaggio che molto da vicino riguardano anche i singoli edifici. Vedremo i progetti degli scandinavi SLA Architekten degli olandesi De Urbanisten, ormai internazionalmente celebri con un geniale progetto di piazza/bacino di accumulo di Bethemplein a Rotterdam, con le “ConstructedWetlands” (aree umide artificiali) dello studio italiano Iridra e con molti altri progetti. Ognuna di queste esperienze è riconducibile ad una modalità di intervento definita anche Low Impact Development, e gravita attorno al grande tema della gestione del ciclo delle acque.  Un tema emergente, particolarmente denso di potenzialità, che nei prossimi anni non solo darà molte opportunità di progetto e di lavoro ma che può rivoluzionare, migliorandolo, il nostro modo di progettare e trasformare spazi e città.

Carlo Ezechieli

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