Edifici avvolti dal verde o simili a paesaggi, foreste urbane e Terzo Paesaggio: perché in architettura il termine “natura” ricorre sempre più spesso?

Tra le cose che ci tengono vivi a questo mondo, di una in particolare proprio non si può fare a meno: respirare. Il respiro è un moto ciclico, costante che ha una relazione diretta con un insieme di processi molto esteso e complesso. Insieme a noi, respirano gli alberi. Respirano insetti e microorganismi. Respirano gli oceani. “Respirano” perfino le rocce, il cui ruolo nella composizione dell'atmosfera che, appunto, respiriamo è ben noto. Tutto il pianeta Terra respira, secondo uno scambio ciclico, sincronizzato che coinvolge un'infinita serie di creature e di elementi, e al quale direttamente, per quanto inconsciamente, partecipiamo. La consapevolezza di processi ambientali ai quali siamo indissolubilmente legati, è stata presente per millenni in innumerevoli culture. Come di conseguenza lo è stata la capacità di tradurre questa consapevolezza in architettura, dando spesso origine a veri e propri capolavori. Del resto, anche il grandissimo Frederick L. Olmsted, in epoca non troppo remota, si riferiva al progetto del Central Park con il termine di polmone verde: un pezzo di natura pensato per dare respiro a una città avviata a diventare una metropoli sempre più soffocante. Ed è forse, come nel caso di Olmsted, per reazione a una realtà che tende a escludere sistematicamente qualsiasi rapporto profondo ed esteso con la realtà ambientale in cui siamo inevitabilmente immersi, che sembra emergere la necessità di una forte riappropriazione, talora in termini simbolici, altre volte più sostanziali, del rapporto con la natura. Si costruiscono torri avviluppate dal verde, quasi a voler incorporare forme di vita differenti dai soli abitanti. ShubhenduSharma, un ex ingegnere della Toyota, progetta e realizza in tutto il mondo foreste urbane “tascabili” ma 30 volte più dense e dotate di un livello di diversità biologica 100 volte superiore a quello di un normale impianto forestale. Ma Yansong, fondatore di MAD Architects, progetta edifici che emulano la forma di paesaggi. Il botanico e paesaggista Gilles Clemént si è ormai imposto teorizzando il rivoluzionario concetto di Terzo Paesaggio, ovvero l’importanza dei suoli non edificati e lasciati al loro sviluppo spontaneo. Opere come l’osservatorio di Cardada di Paolo Bürgi utilizzano l’architettura per rivelare strutture e processi che si estendono ben “oltre” (per riprendere un termine caro all'autore) il luogo. Reloading nature era, infine, la potente frase programmatica del padiglione austriaco di Expo 2015.  In questo numero abbiamo voluto affrontare il tema dell’evoluzione dell’architettura in rapporto alla ricerca di un modo differente di vedere la natura, un concetto quanto mai in via di ridefinizione. Questo grazie ai contributi di Wolfgang Buttress, autore di uno dei più interessanti ed acclamati padiglioni di Expo 2015, di actRomegialli con due notevoli progetti direttamente riconducibili al tema del rapporto tra edificio e luogo, e con una brillante intervista a Gilles Perraudin sul tema della relazione dell’architettura vernacolare con le condizioni ambientali specifiche. Ray Anderson, CEO di Interface (la più grande realtà mondiale nel campo della produzione di tappeti modulari) e guru di nuovi modelli economici, durante le conferenze soleva invitare i partecipanti a chiudere gli occhi e immaginare un luogo di totale tranquillità e bellezza. Chiedeva poi di riaprire gli occhi e di alzare la mano se il luogo in questione era all’aria aperta per scoprire che, immancabilmente, quasi tutti i presenti avevano la mano alzata. Questo dimostra che, nonostante si faccia di tutto per ignorarla, se non reprimerla, esiste un'inclinazione comune e profonda che sta alla base della nostra più profonda essenza.  In conclusione, gli ormai sempre più pressanti problemi ambientali non possono trovare soluzione se non innanzitutto nella nostra mente, riprogrammando le basi del nostro sistema culturale attraverso la riconnessione ad un fondamentale insieme di elementi di cui abbiamo finito per perdere progressivamente coscienza.

Carlo Ezechieli

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