Come e perché la Sharing Economy avrà un
impatto su città ed architettura
Tre fondamentali condizioni stanno influenzando il modo di vivere dei
principali paesi industrializzati. La prima è la consapevolezza che a partire
dal dopoguerra e nel corso di circa 50 anni, abbiamo prodotto beni sufficienti
per i prossimi 500. Esiste una “capacità
in eccesso” senza precedenti di beni di tutti i tipi ed anche, ovviamente, di
edificato. La seconda è che lo sviluppo
di piattaforme internet, inquadrate all’interno di sistemi meticolosamente
normati ed automatizzati permettono di mettere in condivisione questa
sovrabbondanza secondo schemi in precedenza inimmaginabili. La terza è l’ormai
diffusa tendenza al risparmio - e pertanto ad una maggiore razionalità ed
efficienza nell’utilizzo di risorse - che si è venuta affermando
successivamente al “Credit Crunch” del 2008.
Insieme, questi tre fattori stanno dando origine a trasformazioni di
portata epocale e alla nascita, non solo delle nuove forme di attività e di
impresa, denominate “Sharing Economy”, ma anche di nuovi modelli di abitare.
Solo un paio di esempi. Robin Chase nel libro PeersInc. (sottotitolo: “Come la
gente e le piattaforme stanno creando l’economia della collaborazione e
reinventando il capitalismo”) - la prima, e con ogni probabilità più brillante
analisi della nuova economia - descrive un caso emblematico nel settore
immobiliare alberghiero. Nel 2000 l’Intercontinental Hotel Group aveva
raggiunto il “tetto” di 645'000 camere di albergo: un impero distribuito in più
di 100 paesi e pazientemente costruito nel corso di 65 anni, comprando terreni,
facendo progetti, realizzandoli, arredandoli, assumendo personale. Un successo
incredibile, dato che il secondo classificato, il gruppo Hilton, per ammassarne
610'000 aveva impiegato 90 anni. Ma che dire di Airbnb che, sbloccando la
capacità in eccesso, ne ha ottenute altrettante in 4 soli anni? Forse non si
tratta di alberghi, intesi in senso convenzionale, ma il risultato è un’offerta
che soddisfa la domanda e ribalta completamente non solo i profili di investimento,
ma anche l’obiettivo di attenzione a livello di progetto di strutture ed
edifici. Altro esempio. In un articolo
pubblicato nel 2014 sul quotidiano Repubblica dal 1990 al 2014, il numero di
automobili a Milano si è ridotto di oltre 200'000 unità. Questo dipende da vari
fattori come la congestione, la fondamentale inutilità del possesso di un’auto
in città di fronte al osto da sostenere per acquistarla, da sistemi di
controllo del traffico, ma anche, innegabilmente, da alternative offerte da
mezzi in condivisione, come il car-sharing o il bike sharing. Una riduzione della presenza di auto di
questa entità, nella più modesta delle stime (ovvero limitandosi al solo
ingombro dei veicoli), ha liberato complessivamente una quantità di spazi
aperti pubblici pari a quasi 6 volte il Parco Sempione, 38 ettari, ed il
principale parco nel centro della città. E tutti questi - strade, marciapiedi,
slarghi e piazze - sono potenzialmente un tema di architettura del paesaggio.
Dato che la “capacità in eccesso” è la realtà nella quale gli architetti, in
Europa come in molti altri paesi, si trovano ormai ad operare, osiamo
immaginare una realtà dove tutto è già formato e configurato. Dove la vera
azione progettuale e trasformativa sia quella di liberare questo potenziale, di
inserirlo in un sistema, di migliorarlo, di farlo funzionare mettendo al primo
posto la qualità dei luoghi ed il benessere degli abitanti. Osiamo immaginare città perfettamente
efficienti, con meno del 20% delle auto di oggi circolanti e, al posto di
parcheggi: parchi, viali alberati, giardini e strade bellissime recuperate al
traffico ed al loro utilizzo iniziale in cui giocare, passeggiare e sostare. A
città dove, di conseguenza, “blocco del traffico” sia un concetto ridicolo e
obsoleto. Osiamo immaginare la sbalorditiva moltitudine di edifici sfitti o
semiabbandonati trasformata in architetture stupende ed in luoghi vitali, in
nodi di un sistema. A spazi ibridi, di nuovo tipo, adatti e adattabili ad
utilizzi multipli, se non addirittura aperti a rotazione ad utenti diversi dai
residenti, in base a schemi scrupolosamente contabilizzati, gestiti e normati
simili a quelli di utilizzo di un’auto in car-sharing. Si tratta di casi di
radicale ripensamento di spazi di lavoro in rapporto alla città. Il tutto
nell’ottica di porre basi concrete per osare e per liberare, insieme alla
“capacità in eccesso”, anche la nostra immaginazione progettuale e costruttiva.
Carlo Ezechieli
Carlo Ezechieli