Perché molte significative architetture recenti, dissimulando la propria
essenza di spazio edificato, tendono a diventare forme di continuità con il
paesaggio?
Tradizionalmente e convenzionalmente l’architettura si sviluppa secondo
connotati sintattici e tipologici tali da identificarla chiaramente quale
“meraviglioso artificio” rispetto al paesaggio. Negli ultimi tempi, tuttavia, è
sempre più facile imbattersi in architetture, spesso di indiscutibile valore
che - pur senza perdere i propri intrinsechi caratteri di artificialità -
tendono a fondersi completamente con l’ambiente circostante.
La Mirror House del 1996 di EkkehardAltenburger era un’installazione artistica alla quale è stata in più occasioni attribuita l’origine del filone degli edifici a specchio: apparentemente fatti d’aria, virtualmente invisibili. Il Rolex Center di Sanaa - una sorta di suolo (o forse meglio, di “soletta”) artificiale - sembra proporre una forma di continuità rispetto all’intorno: qualcosa di più direttamente riconducibile ad un paesaggio che ad un edificio. Questo solo per citare un paio di esempi di un’architettura che sembra voler scomparire, confondersi nel paesaggio. Non si schiera e, pur senza incorrere in banali mimetismi, non invade né si fa invadere. È in stato di equilibrio. Non si oppone e si fonde con il contesto. Insomma, in una parola è neutrale. Questa recente “estetica neutrale” è identificabile per alcune caratteristiche comuni e ricorrenti: la difficoltà nel ricondurre l’intervento ad un tipo predeterminato, come pure alla convenzionale sintassi di basamento, facciata e coronamento; la continuità fisica con il paesaggio circostante, spesso ottenuta assecondandone la topografia, evitando il camouflage, e sempre dichiarando la propria identità e la propria artificialità; la continuità visuale con il paesaggio circostante, ottenuta a volte dissolvendosi, talvolta contaminandosi, più raramente riprendendo palesemente forme ed elementi del circostante.
Certamente abbiamo costruito troppo e male. Con l’esplosione demografica e la sempre più forte pressione antropica, lo sprawl e l’espansione delle aree urbanizzate, è del resto prevedibile che la gente, e gli architetti, abbiano il desiderio di diventare parte (o un riflesso) di una natura sempre più preziosa e minacciata.
Carlo Ezechieli
La Mirror House del 1996 di EkkehardAltenburger era un’installazione artistica alla quale è stata in più occasioni attribuita l’origine del filone degli edifici a specchio: apparentemente fatti d’aria, virtualmente invisibili. Il Rolex Center di Sanaa - una sorta di suolo (o forse meglio, di “soletta”) artificiale - sembra proporre una forma di continuità rispetto all’intorno: qualcosa di più direttamente riconducibile ad un paesaggio che ad un edificio. Questo solo per citare un paio di esempi di un’architettura che sembra voler scomparire, confondersi nel paesaggio. Non si schiera e, pur senza incorrere in banali mimetismi, non invade né si fa invadere. È in stato di equilibrio. Non si oppone e si fonde con il contesto. Insomma, in una parola è neutrale. Questa recente “estetica neutrale” è identificabile per alcune caratteristiche comuni e ricorrenti: la difficoltà nel ricondurre l’intervento ad un tipo predeterminato, come pure alla convenzionale sintassi di basamento, facciata e coronamento; la continuità fisica con il paesaggio circostante, spesso ottenuta assecondandone la topografia, evitando il camouflage, e sempre dichiarando la propria identità e la propria artificialità; la continuità visuale con il paesaggio circostante, ottenuta a volte dissolvendosi, talvolta contaminandosi, più raramente riprendendo palesemente forme ed elementi del circostante.
Certamente abbiamo costruito troppo e male. Con l’esplosione demografica e la sempre più forte pressione antropica, lo sprawl e l’espansione delle aree urbanizzate, è del resto prevedibile che la gente, e gli architetti, abbiano il desiderio di diventare parte (o un riflesso) di una natura sempre più preziosa e minacciata.
Carlo Ezechieli