Sovrappopolazione e stress ambientale: una nuova sfida per l’architettura

Secondo fonti affidabili (Scientific American, 2016) un terzo del peso complessivo dei vertebrati che popolano le superfici emerse della Terra è composto da umani, altri quasi due terzi da animali addomesticati o ingegnerizzati come “cibo”, e ormai solo un restante 5% circa da fauna selvatica. Sono semplici numeri, che tuttavia rivelano un impoverimento biologico clamoroso. Stiamo perdendo tanto inconsapevolmente, quanto tragicamente, complessità e resilienza. Ci stiamo allontanando da un metaforico “Eden” per avvicinarci ad una sorta di deserto, se non addirittura alla “infernale" condizione di questo pianeta nella fase precedente alla comparsa della vita. A partire dalla fine degli anni 1960, la popolazione umana è cresciuta da 3 Miliardi fino ai 7 attuali, il tutto nel giro di neanche due generazioni. Sette miliardi di persone, sono tante, hanno bisogno di cibo, di energia, necessitano di infrastrutture ed, ovviamente, di edifici che, malgrado tutte le esperienze di progetto “sostenibile”, sono e rimangono la “punta dell’iceberg” di un'interminabile, profonda catena di stress ambientale. Come sottolinea l’autore bestseller Alan Weisman, sovrappopolazione e crisi ambientali, vanno di pari passo. E sono un mix esplosivo, da cui hanno spesso origine carestie, guerre, esodi, problemi ambientali, mancanza di sicurezza, ovvero le parole chiave dell'ultima Biennale di Architettura di Venezia “Reporting from the Front”. Più la popolazione aumenta più il nostro ambiente si deve modificare in vista delle nostre necessità. Ripensando alla vecchia, celebre, frase di William Morris, l’insieme di queste modificazioni è precisamente il “territorio” dell’architettura. Come progettare allora in un mondo sempre più affollato?  Per Gunter Pauli - economista e celebre saggista - osservare e comprendere in profondità le condizioni del “sistema pianeta" è determinante, come lo è del resto replicare processi e soluzioni che caratterizzano il mondo naturale. Per BuckminsterFuller, illustre precursore di queste tematiche, la risposta era l’alta densità delle “self containedcities” e la conservazione del paesaggio incontaminato, simile a quello dell’Europa prima dell’agricoltura: prevalentemente coperto da foreste primigenie di cui oggi non rimangono che sparuti brandelli (come la BiałowieżaPuszcza, ad Est della Polonia, sito UNESCO). A quanto pare, una "sovrappopolazione" di alberi - una selva impenetrabile per gli umani, ma dimora perfetta per un insieme di forme di vita molto ricco e complesso - almeno in termini biologici e ambientali, non rappresentava un problema. Oggi il timore delle terre selvagge ha ormai lasciato il posto ad un ormai totale, ma non per questo assennato, dominio. Potremo mai trovare un equilibrio e progettare il nostro ambiente rendendolo simile ad un’antica foresta: capace di ospitare, anziché respingere e di rafforzare, anziché impoverire, l'insieme di condizioni che, come molte altre forme di vita, tengono in vita anche noi?

Carlo Ezechieli

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