Un tema di identità, cultura e
architettura.
Economia circolare, ovvero emulazione di principi di funzionamento
dell’ecosistema applicati alla società e alle attività umane. Se ne parla da
decenni, ma quando il discorso sembra ormai metabolizzato, se non addirittura
“vecchio”, di colpo emerge come chiave di rilancio di un settore, quello delle
costruzioni, in stallo ormai da anni. Se non proprio vecchio, il tema dell’economia
circolare, non è neppure niente di nuovo. Rendere infatti le nostre attività
“circolari”, ovvero non generative di rifiuti, è un problema che, prima
dell’età industriale - con prodotti tradizionali, di origine principalmente
biologica - era virtualmente
inesistente. Con l’avvento dell’industria, affidarsi per produrre materiali o
energia, prima al carbone e poi a una moltitudine di "risorse” prelevate
dal sottosuolo, ha finito per scatenare un accumulo incredibile di “scarti”,
spesso nocivi e comunque privi di qualsivoglia collocazione all’interno dei
cicli naturali. Parallelamente, se l’architettura tradizionale sviluppava
un'identità regionale - profondamente
legata ai materiali locali e all’adattamento a condizioni climatiche e
ambientali specifiche - col passare del tempo ha finito per dipendere sempre di
più da materiali prodotti serialmente in fabbrica. Questi ultimi, trasportati
su ferrovia per centinaia di chilometri fino al sito di costruzione, hanno
cambiato completamente le regole del gioco: e se da un lato emergeva una nuova,
spesso notevole, architettura “internazionale”, dell’altro iniziava un processo
di omologazione insediativa, ed espressiva, che oggi ha ormai raggiunto una
portata planetaria e per molti versi tragica. Niente a che vedere con gli
esempi più significativi di architettura vernacolare, come quelli studiati da
Victor Olgyay e celebrati da Bernard Rudofsky negli anni 1960: “macchine”
bioclimatiche perfette, messe a punto nel corso di secoli ed architetture che,
del tutto armonizzate con i luoghi, erano rappresentative di una pluralità di
linguaggi e di culture. Da allora molti cambiamenti sono ovviamente intercorsi,
ma cosa significa allora oggi pensare a un’architettura “circolare”? Sarà una
riscoperta critica del passato basata sulla “fisicità”, dove i materiali - e
pertanto la “baukunst” a questi direttamente connessa – riacquisteranno un
ruolo fondamentale, non solo dal punto di vista tecnologico ed economico, ma
anche culturale. O al contrario, il principio l’emulazione del “metabolismo
circolare” presente in natura, seguirà i percorsi inediti indicati dalla
moderna tecnologia “immateriale” e dall’incredibile capacità di calcolo, la
stessa che ci permette di sequenziare è ricombinare i protocolli di
messaggistica cellulare. Per secoli, gli architetti si sono limitati a copiare
le forme presenti in natura, che possibilità potrebbero oggi scaturire dalla
capacità di modellizzarne e riprodurne i principi costitutivi, caratterizzati
da un’intrinseca e, finora inarrivabile, efficienza e da una, ovvia e totale
integrazione a livello ecosistemico. Forse la chiave è l’integrazione tra
questi due orientamenti e la riscoperta del rapporto tra alcuni termini di
base: i materiali, l’energia che serve a produrli ed il loro rapporto con il
luogo.
Carlo Ezechieli
Carlo Ezechieli