L’evoluzione a partire dalla riscoperta
delle radici.
Molte forme di spiritualità arcaiche
tendono ad attribuire un’anima a cose della natura e vengono per questo
definite animiste. Anche se spesso a sproposito, Genius loci è oggi termine molto usato dagli architetti. È
un’espressione dell’antica mitologia romana che attribuisce un’anima e pertanto
un’identità a un soggetto, il luogo, che normalmente consideriamo inanimato.
Sul tema, ChristianNorberg-Schulz aveva
scritto un intero libro e due psicologi, Carl Jung e dopo di lui James Hillman,
avevano indagato a fondo sull’Anima dei luoghi. Al di là di considerazioni di
ordine metafisico è un dato di fatto che i luoghi, o meglio il substrato, o in
termini più pratici il paesaggio originale e primigenio sul quale si sviluppano
tutte le attività antropiche, rappresenta un’impronta molto forte che viene
progressivamente integrata, o interferita, dalle stratificazioni che vi si
depositano nel corso della storia. Nel luogo, qualsiasi intervento di
trasformazione che sia qualificabile come architettura affonda le proprie
radici. Ed è proprio la consapevolezza di queste radici e delle qualità
nascoste, e spesso invisibili, del luogo che rende possibile costruire con
sufficiente solidità e coerenza. Si parla tanto di consapevolezza ambientale e
di sostenibilità, principio ormai logoro e banalizzato fino allo sfinimento. Ma
quale consapevolezza è possibile limitandosi a pure questioni tecniche, quando
il progetto non ha nessuna comprensione né della struttura, né tantomeno dei
motivi, dei processi e delle stratificazioni che insieme costituiscono
l’identità profonda e spesso nascosta di un luogo? Basti osservare qualsiasi
soluzione abitativa dell’antichità: architetture stupende, edifici
rigorosamente bioclimatici, impatto ambientale basso o nullo e un progetto che
si sviluppava su una totale e profonda consapevolezza delle radici sulle quali
veniva fondato.
Carlo Ezechieli
Carlo Ezechieli