Come qualsiasi organismo anche l’architettura si adatta a situazioni ambientali e culturali  specifiche: l’importanza del pensiero critico rispetto alla globalizzazione e all’importazione di schemi sempre più omologati.


Negli anni tra il 1960 ed il 1980, di fronte agli ideali di unificazione ed internazionalizzazione del Movimento Moderno, emerse un interessante fenomeno di reazione, o meglio di evoluzione, definito con brillante intuito da Alexander Tzonis, Liane Lafaivre, e soprattutto, da Kenneth Frampton “Regionalismo Critico”. All’interno di questa corrente Frampton identificava, tra molti altri, autori come Luis Barragán o i maestri dell’architettura del Canton Ticino. Il primo artefice di un‘incredibile sintesi tra influenza modernista e la tradizione architettonica e culturale del Messico. I secondi capaci di generare, a partire da una marcata impronta modernista, un’architettura profondamente riferita al luogo, con un evidente richiamo alla poetica del muro a gravità, proprio della cultura costruttiva di quella regione. Schemi ed influenze internazionali acquisite, appunto, in modo critico, e soprattutto nella consapevolezza dell’importanza delle radici e del luogo nella definizione di queste ultime.  In assenza di un ingrediente fondamentale, la capacità critica, l’attuale spinta verso un “meltingpot” globale, si converte in nient’altro che omologazione. Da sempre, il luogo - dimora delle stesse radici sulle quali si fonda e si evolve la nostra identità -  è stato non solo un motivo di arricchimento, ma anche la base di un principio evolutivo. Riscoprire il valore dei luoghi, e della cultura locale, sviluppando allo stesso tempo la capacità di interpretarla in modo critico, rappresenta in quest’era di globalizzazione un approccio ancora attualissimo, che in questo numero di IoArch, abbiamo cercato di ripercorrere attraverso autori e opere.

Carlo Ezechieli

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