La recente e meravigliosa scoperta di un’architettura capace di svilupparsi ed evolversi anche senza architetti: una vera e costante avanguardia senza nome.
Tanti anni fa ebbi la fortuna di trascorrere un'intera giornata con Andres Caasillas De Alba, braccio destro del grande Luis Barragán. Andres mi disse due cose che mi restarono particolarmente impresse: la prima è che l’architettura si evolve non tanto per i colpi di genio degli architetti, ma piuttosto in base a cambiamenti nel contesto che, dopo un periodo abitualmente compreso tra uno e due secoli, vengono colti fino a consolidarsi in un paradigma comune. L’altra era che Barragán cercava, costantemente e ad ogni costo, di evitare soluzioni da lui stesso chiamate “da architetto”: definizione poco scientifica, ma di straordinario acume, che si potrebbe tradurre come “forme sterili e pre-confezionate, aderenti più ad uno stile che al contesto specifico”. Dal Rinascimento la figura dell’architetto, “il muratore che ha imparato il latino”, si è andata consolidando come una figura istituzionale, fino a diventare una sorta di principe e demiurgo. Oggi, amplificata dai media, diventa addirittura nome e personaggio pubblico prima ancora che autore. Ma a ben pensarci, il suo ruolo viene fatalmente ridimensionato di fronte alla meraviglia dei secoli di opere che rivelano una capacità sorprendente di cogliere le condizioni al contorno, rifiutando l’importazione passiva di stili e schemi omologati. Molto spesso sono architetture senza chiara attribuzione - o meglio, come diceva Bernand Rudofsky in un libro oggi molto acclamato, ma ai tempi della sua pubblicazione, quasi ignorato - "senza pedigree".

Carlo Ezechieli

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