Come nella seconda metà del 1800 stiamo entrando in un’era in cui macchine sempre più evolute e nuovi strumenti di produzione permettono di realizzare architetture mai viste. E mentre si insegue il sogno di strutture che, anziché contrastare l’ambiente, ne siano un armonico complemento, emerge il pericolo della traslazione di consapevolezza, di conoscenze e capacità, dall’uomo allo strumento, sottraendo preziosi spazi culturali e mentali.


Joseph Paxton era innanzitutto un giardiniere, ma non solo, era anche un inventore, un architetto, un Membro del Parlamento britannico, Insomma, una specie di Leonardo da Vinci della Prima Età delle Macchine. Nell’Esposizione Universale del 1851, Paxton realizzò il Crystal Palace, un padiglione, si fa per dire, alto quasi quaranta metri ed esteso su una superficie di circa dieci campi di calcio. La tecnica applicava soluzioni per quei tempi quasi fantascientifiche: lastre di vetro, componenti in acciaio, perfino le “flushing toilets”, che più di ogni altra cosa suscitavano la meraviglia dei contemporanei. Facendo le debite proporzioni, sarebbe come se uno dei padiglioni della prossima Expo fosse una grande opera di architettura capace di autocostruirsi secondo logiche simili alla messaggistica cellulare presente in qualsiasi organismo. E questo rientra nella sfera del possibile. Grazie agli strumenti della moderna Augmented Age, possiamo decifrare la natura, emularne i processi, ricombinarne i codici generativi, inseguire il sogno di strutture che, anziché alterare e contrastare l’ambiente, ne siano un armonico complemento. A pensarci bene è lo stesso risultato che si ottiene da migliaia di anni, applicando principi perfettamente Low-Tech, che si rivela in opere di incredibile bellezza come i ponti viventi di Meghalaya. Ma mentre i ponti viventi per giungere a compimento richiedono decenni, queste strutture potrebbero crescere, letteralmente, nel giro di pochi giorni. Siamo ormai entrati in un’era in cui sistemi di intelligenza artificiale come GPT-3, possono intrattenere conversazioni di impronta filosofica fingendosi, credibilmente, pensatori umani. È pertanto prevedibile che processi di progettazione basati su una sorta di dialogo tra progettista e macchine, abbiano basi sufficientemente solide per diventare per l’architettura un vero e proprio motore di evoluzione. Ma se da un lato opere meravigliose di autori di punta, forti di un’attrezzatura culturale e intellettuale formidabile, stanno aprendo nuove frontiere, in molti altri casi l’amplificazione delle capacità tecniche si traduce in una temibile traslazione di consapevolezza, di conoscenze e capacità, dall’uomo allo strumento.  In fin dei conti niente di nuovo, è un’ondata che non si può fermare, che dà opportunità incredibili, ma che pure prospetta l’eventualità, in assenza di principi sufficientemente solidi, di una stoltezza che potrebbe ritrovarsi, per l’appunto, “aumentata”.

Carlo Ezechieli

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