Malgrado l’avanzata di tecnologie di progettazione sempre più d’avanguardia, la realtà del mondo delle costruzioni è ferma a 50 anni fa e la capacità di adattarsi con poetico pragmatismo è una virtù che spesso trova forme di espressione notevoli.
Il Signor Moore, uno dei fondatori di Intel, il colosso della Silicon Valley, anni fa formuló una legge secondo la quale la complessità di un microcircuito si quadruplica ogni 3 anni, decretando così l’aumento esponenziale e continuativo della capacità di calcolo dei computer. Alla legge di Moore, da non confondere con la ben più nota legge di Murphy, almeno nel mondo del lavoro, non scappa nessuno, nemmeno gli architetti, per i quali i sempre più evoluti armamentari hardware e software sono, tra gioie e dolori, una componenteche non può essere ignorata. E mentre la parametric architecture è la progettazione BIM dilagano, la realtà nella quale si sviluppano le opere di architettura, in tutto il mondo è salvo casi eccezionali, continuano ad essere basate sull’utilizzo di materiali e tecniche ordinarie, spesso risalenti a mezzo secolo fa e, soprattutto, vincolate da limiti di spesa che rendono impari il rapporto tra capacità di disegno e di realizzazione. Questa condizione rappresenta un problema? La risposta è no, almeno non quanto lo è l’incapacità di cogliere correttamente il contesto produttivo ed i suoi limiti. E questo è dimostrato da opere eccezionali, caratterizzate da una grandissima semplicità, sia nella tecnica che, soprattutto, nel programma. Si tratta di una sorta di pragmatismo poetico virtuoso, di aderenza alla realtà e di consapevole sospensione delle complicazioni proprie delle nostre società post-industriali e ipertecnologizzate. In fondo l’architettura più che la risposta tecnica a problemi contingenti - a quello ci pensa già l’edilizia – è una forma di espressione come tante altre, dove quello che conta veramente, come sosteneva Oscar Niemeyer, non è l’architettura ma saper cogliere la molteplicità della vita. E questo è ciò che manca di più in un mondo dove la supremazia della formazione tecnica, sterile e semiautomatica, ha finito per schiacciare completamente la bildung, termine tedesco significa costruzione dell’individuo. Per concludere: se è vero che la felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha, forse anche in architettura si potrebbe per una volta pensare di più all’essenza, sostituendo quel “ha” con un“è”.

Carlo Ezechieli

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